La Repubblica popolare ha introdotto una legge che limita fortemente
il raggio d'azione delle organizzazioni non governative. Il mio commento per Limes.
[Un grafico sull'aumento delle Ong negli ultimi anni (ad oggi 7 mila)] |
Pechino ha ufficialmente approvato
la legge per disciplinare le attività delle circa 7 mila organizzazioni
non governative (ong) che lavorano nel paese.
I criteri della normativa sono piuttosto rigidi e la definizione di ong include fondazioni, gruppi sociali e think-tank. Molte di esse avevano sinora operato in una sorta di “zona grigia”, grazie alla mancanza di una regolamentazione specifica.
Dal
1° gennaio 2017, per operare nella Cina continentale, le ong dovranno
registrarsi ed essere autorizzate dalla polizia e dal ministero della
Pubblica Sicurezza. Qualora non abbiano qui un ufficio di
rappresentanza, dovranno trovare un “partner" cinese (organi di Stato,
istituzioni pubbliche, organizzazioni sociali) con cui affiliarsi.
L’obbligo è previsto anche per le organizzazioni che provengono da Hong
Kong, Macao e Taiwan.
La
normativa vieta il coinvolgimento in e la sponsorizzazione di attività
commerciali, politiche e religiose e prevede che i fondi che finanziano
le organizzazioni siano dichiarati e in regola con il diritto cinese.
L’obiettivo
della legge, ampiamente criticata in Occidente anche prima della sua
approvazione, è formalmente consentire alle ong di operare in Cina senza
“mettere in pericolo la sicurezza nazionale”. Nel concreto, essa
dovrebbe impedire ai paesi occidentali di servirsi di tali
organizzazioni per attività di spionaggio e per pressare Pechino
riguardo temi particolarmente sensibili, come i diritti umani o quelli
dei lavoratori.
L’introduzione della legge dipende anche dal rallentamento dell’economia cinese (+6.7% nel 1°trimestre dell’anno), che sembra aver influito in qualche misura sull’aumento degli scioperi nel paese tra fine 2015 e inizio 2016.
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