Il magnate cinese Ren Zhiqiang è
stato sospeso dal Partito comunista dopo aver rilasciato alcuni commenti sul
presidente Xi Jinping. Il mio commento per la rassegna geopolitica odierna di Limes.
Il “Donald Trump” cinese Ren Zhiqiang
è stato sospeso
per un anno dal Partito comunista cinese (Pcc) per aver
criticato a febbraio su Weibo il presidente Xi Jinping, dopo che
questi aveva chiesto lealtà ai media.
Prima che il suo account sul social
network fosse chiuso, Ren aveva ben 37 milioni di follower e grazie ai suoi commenti
sempre taglienti si era guadagnato il soprannome di “cannone”.
Per lui, Xi ha scelto una sanzione
più morbida del solito, considerato che tramite la campagna anticorruzione
molti dei suoi antagonisti politici sono stati espulsi dal Pcc ed arrestati.
Il caso di Ren potrebbe rientrare nel
conflitto intrapartitico tra Xi e Wang Qishan da una parte e Liu Yunshan
dall’altra.
Wang è un “principe rosso” (discendente
di funzionari comunisti di alto rango prima della Rivoluzione culturale, come
il presidente), capo della Commissione centrale per l’ispezione
disciplinare (Ccid, che guida la lotta alla corruzione) e amico di Ren.
Liu è considerato
un tuanpai (fazione che si è
fatta strada tramite la Lega della gioventù comunista cinese e in contrasto con
i “principi rossi”) ed è capo del dipartimento per la Propaganda. Xi
vorrebbe limitare il suo potere. Le dure critiche rivolte al magnate cinese da
parte dei media potrebbero essere state stimolate da Liu per colpire
indirettamente Wang e il presidente.
È probabile che Xi abbia optato per
la “sospensione” con l’obiettivo di punire Ren senza danneggiare
l’immagine del capo del Ccid e la sua.
Potrebbe trattarsi quindi di un modo per
non alimentare la tensione – già alta – all’interno del Pcc; con un
occhio all’umore degli intellettuali, verso cui nei giorni scorsi aveva annunciato piena
fiducia.
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